L’illusione del criptoentusiasmo in El Salvador

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Nayib Bukele Ortez, classe 1981, è un personaggio a dir poco controverso. Imprenditore espulso dal partito di sinistra Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale e tycoon dei media, è stato eletto presidente di El Salvador alle elezioni del 2019 come indipendente, sostenuto in realtà da un partito nato a sua volta alcuni anni prima da una scissione del principale raggruppamento di centrodestra, Arena, che con l’FMLN si era spartito il potere dal 1992. Una cavalcata sull’onda del disincanto per la corruzione e l’antiparlamentarismo imperante, al quale ha fatto seguito due anni dopo il successo di Nuevas Ideas, partito fondato dallo stesso Bukele nel 2018.

Un pezzo della sua biografia l’avevamo analizzata qui, quando lo scorso giugno aveva deciso di dare corso legale al Bitcoin: dall’inizio di settembre nel paese centroamericano l’utilizzo della criptovaluta è “libero con potere liberatorio, illimitato in qualsiasi transazione e a qualsiasi titolo richiesto dalle persone fisiche o giuridiche pubbliche o private”. Come avevamo visto, non tutto era però chiaro dal momento che poche cose in economia monetaria sono più nebulose come il concetto di corso legale. Nel Salvador perfino il vecchio colón è ancora formalmente accettato nelle transazioni quotidiane, per quanto sostituito dal dollaro statunitense ormai dal 2001, quando ne è stata autorizzata la libera circolazione con un cambio fisso di 1 USD = 8,75 colones. Per capirci, la Banca centrale neanche stampa più la valuta nazionale. Adesso Bukele continua nella sua operazione di comunicazione da “crypto-enthusiast” annunciando un faraonico piano per la costruzione da zero di una città completamente votata al “mining” di bitcoin.

Per inquadrare meglio il contesto conviene ampliarlo e allargare l’inquadratura dalle bizzarrie sulle criptovalute, vendute alla popolazione come un metodo più economico per incassare le rimesse dei parenti emigrati all’estero, alle recenti condizioni del paese. Bukele nei mesi si è autodefinito “dittatore” e poi “Ceo” di El Salvador e ha fatto approvare leggi che feriscono la fragilissima democrazia salvadoregna, figlia della lunga guerra civile degli anni Ottanta. Di fatto, sta preparando il campo a un sostanziale colpo di Stato: la Sala costituzionale della Suprema Corte di Giustizia locale ha per esempio dato di recente via libera alla possibilità della rielezione immediata del presidente per un secondo mandato. In più, il 40enne presidente sta lavorando a una riforma costituzionale che appunto allunga il suo mandato, prevede la cancellazione della stessa Corte suprema di giustizia che già oggi è in grado di manovrare e mette in piedi un Tribunale costituzionale. Non basta: l’ex sindaco di San Salvador, figlio di Olga Ortez de Bukele e di Armando Bukele Kattán, un uomo d’affari e imam di origine palestinese, ha approvato un decreto che obbliga il pensionamento di giudici e magistrati al compimento dei 60 anni d’età (la cosiddetta “Ley de la Carrera Judicial”), un modo per ridisegnare gli equilibri giudiziari a piacimento, già compromessi dalle pressioni spregiudicate sul massimo organismo costituzionale. I nuovi giudici, infatti, vengono sostituiti con nomina diretta dalla schiacciante maggioranza che sostiene Bukele e non, come dovrebbe accadere, dal Consejo Nacional de la Judicatura che dovrebbe tutelarne l’autonomia. Un’operazione nella quale è finito anche Jorge Guzmán, il giudice titolare del processo sul massacro di El Mozote del 1981: fra il 10 e il 13 dicembre di quell’anno un migliaio di civili furono uccisi dai militari del battaglione Atlacatl scatenato dalla dittatura arenera col pretesto di un’operazione di contro-guerriglia. Una delle infinite ferite del conflitto civile con cui il paese deve ancora fare i conti.

Nonostante il supporto al bitcoin introdotto lo scorso giugno non abbia per nulla fatto breccia nel cuore dei salvadoregni, il presidente – che non disdegna l’uso di squadriglie digitali di account falsi per difendersi dai suoi detrattori, come spiega Foreing Policy in un magistrale ritratto del tecnocaudillo – ha ora deciso di lanciarsi ancora oltre. Come? Annunciando nel corso della Latin American Bitcoin and Blockchain Conference, un evento dedicato alle criptovalute, la costruzione di una “Bitcoin City” sulla costa meridionale, alle pendici di un vulcano di cui sfrutterà l’energia geotermica per alimentare le server farm che “mineranno” bitcoin. A finanziarne la costruzione saranno delle “obbligazioni garantite da criptovaluta”. Sarà un paradiso fiscale: non si pagheranno tasse, a parte una specie di imposta sul valore aggiunto. Samson Mow, amministratore delegato di Blockstream, una società che fornisce soluzioni blockchain, ha spiegato che El Salvador emetterà un primo bond da un miliardo di dollari garantito da Bitcoin per avviare la raccolta dei fondi necessari a costruire l’avveniristica città immaginata dal giovane presidente. Un uomo che all’inizio del mandato aveva illuso molti di poter imboccare un percorso riformista e progressista salvo virare ben presto verso una figura piuttosto originale di aspirante dittatore: un populista influencer con una cinica presenza sui social e per nulla spaventato di utilizzare temi, come quello delle criptovalute, in grado di alzare una cortina fumogena utile a coprire i propri sabotaggi al sistema democratico. A prescindere dalla reale convinzione su certi argomenti: Bukele è uno che a febbraio 2020, quando il Parlamento che ancora non controllava non voleva approvare un prestito di 109 milioni di dollari, fece circondare l’edificio da militari armati fino ai denti allo scopo di intimidire i deputati e spingerli all’approvazione di quella misura. O che proprio questo mese ha inviato al “suo” Congresso un disegno di legge che prevede che le organizzazioni che ricevono fondi dall’estero – principalmente dagli Stati Uniti, che hanno deciso di spostare il loro sostegno dagli enti statali a quelli non governativi – debbano registrarsi come “agenzie estere”.

Questa è la complicata e a tratti surreale cornice all’interno della quale, fuori da ogni genuino entusiasmo per le criptovalute prima e per la nuova, fantomatica (e probabilmente farlocca) “Bitcoin City” vicino al vulcano Conchagua sul golfo di Fonesca, vanno inquadrati i movimenti di Bukele. La luna di miele con un paese poverissimo e violento, che dei volatilissimi bitcoin in pagamento non sa che farsene, sembra però essere già in crisi: fra settembre e ottobre, ad esempio il 15 settembre scorso, giorno delle celebrazioni per il bicentenario dell’indipendenza dal dominio spagnolo, diverse migliaia di persone hanno manifestato nelle strade di El Salvador per protestare contro le sue politiche sulla giustizia e per denunciare in particolare la decisione di fare del bitcoin la seconda valuta ufficiale del paese. Tutto questo nonostante su Chivo Wallet, l’applicazione ufficiale del governo per la gestione dei propri risparmi e delle transazioni in bitcoin, fossero già caricato l’equivalente di 30 dollari in criptovaluta.

Il “pollicino” d’America, un paese grande poco più della Sicilia, ha infatti ben altri problemi da affrontare: è al 50esimo posto all’ultimo rapporto dell’Indice globale della fame redatto dalla Chatam House, è uno dei paesi più violenti del mondo segnato da povertà, massiccia emigrazione, catastrofi climatiche e crisi della produzione della prima risorsa nazionale, le piantagioni di caffè. Oltre il 30% della popolazione, due milioni di persone, vive sotto la soglia di povertà, l’analfabetismo è al 21% e la mortalità infantile al 23%. Ma per il “Ceo” del paese con l’immancabile berretto da baseball e la passione per le auto di lusso e i videogame la priorità sono indiscutibilmente i bitcoin.

Fonte: Articolo del 31/12/21 di Esquire.com Foto: Cryptorobin.it