In El Salvador le misure repressive aumentano ogni giorno. Era il 2014. Tornavo in El Salvador dopo dieci lunghi anni, in cui però avevo continuato a seguire da lontano il paese centroamericano.
In un incontro con giovani internazionalisti e salvadoregni, tutti sono concordi: il sindaco poco più che ventenne di Nuevo Cuscatlán ha acceso animi e speranze, trasformando il piccolo paesino nella provincia de La Libertad in un polo culturale e attrattivo per molti. Sarebbe importante che si presentasse come sindaco a San Salvador, commentavano entusiasti: l’FMLN, il partito di sinistra nato dalle omonime forze guerrigliere, potrebbe finalmente sperare di vincere in capitale.
E non finisce qui, continuavano, la sua capacità di dialogare con i ventenni del paese, svecchiando linguaggi ed approcci alla politica, potrebbero portarlo molto in alto. Mi regalarono una maglietta color ciano – fra il blu e il verde: era il colore simbolo della sua campagna elettorale – con stampato il nome di quel promettente uomo di sinistra, che metteva al servizio della gente il suo potere e le sue disponibilità economiche.
Quell’uomo era Nayib Bukele, che nel 2019 diventa Presidente di El Salvador, dopo essere stato Sindaco di San Salvador ed espulso dal FMLN. Quella maglietta, ironia del destino, si è strappata poco dopo averla ricevuta e non la posseggo più.
Ciano è il colore di Nuevas Ideas, il partito di Bukele, che ha stravinto alle ultime elezioni.
Chissà cosa pensano oggi di Bukele quei giovani che allora tifavano per lui, soprattutto dopo le ultime manovre “dittatoriali”.
Manovre accentuate dopo le ultime grandi manifestazioni popolari del 15 settembre e del 17 ottobre. Alla prima hanno partecipato circa 20 mila persone, tra le quali, sorprendentemente, erano presenti i “giudici della Costituzione”, decine di giudici della Repubblica Salvadoregna indignati per il decreto 144, che in un colpo solo ha licenziato tutti i giudici maggiori di 60 anni o con più di 30 anni di esperienza, ossia coloro che negli ultimi anni hanno cercato di contro arrestare, Costituzione alla mano, le scelte autoritarie del governo Bukele. Nell’intervento ufficiale, preregistrato, che Bukele ha inviato alla nazione in occasione del bicentenario dell’indipendenza – proprio il 15 settembre – definì quella stessa marcia “politica”, accusandola di vandalismo.
Nella seconda, altrettante persone hanno aderito, nonostante la PNC, la Policia Nacional Civil, abbia tentato di impedire una partecipazione massiva, creando almeno una ventina di posti di blocco per intercettare i bus provenienti dalle province più lontane.
In questa seconda marcia, oltre alle proteste contro la contestata legge di introduzione del Bitcoin come moneta nazionale, oltre alle parole d’ordine del movimento femminista contro la violenza, i femminicidi e le desapareciones, si è sommata la voce degli invalidi di guerra, definitivamente abbandonati a se stessi, senza nessuna applicazione delle leggi che dovrebbero tutelarli.
La reazione di Bukele non si è fatta attendere. Innanzitutto, il 20 ottobre, la Asamblea Legislativa di El Salvador, a maggioranza “ciana”, quindi bukelista, ha approvato un decreto presentato dal Presidente dell’Asamblea, in cui si stabilisce che fino all’8 dicembre, le concentrazioni pubbliche e private, che non siano riconducibili a carattere artistico, culturale o sportivo, sono proibite. La ragione ufficiale è di tipo sanitario, non essendo possibile garantire il necessario distanziamento sociale in concentrazioni di massa, ma todo el mundo intende il valore politico di tale decreto,, approvato con 63 voti a favore e 17 contrari.
Inoltre, rifacendosi al Codigo Penal vigente nel paese, i trasgressori potrebbero essere multati fino a 35 mila dollari, rischiando pene carcerarie da uno a tre anni.
La manifestazione, convocata dall’Assemblea femminista, in occasione della scadenza del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ne rappresenta dunque una sfida.
Ma non è finita qui: il 10 novembre, nella Comisión de Relaciones Exteriores de la Asamblea Legislativa salvadoregna, inizia formalmente la discussione sulla Ley de Agentes Extranjeros, una iniziativa del Governo Bukele che si propone di impedire “che fondazioni e ong di facciata mascherino come donazioni ciò che è chiaramente una intromissione in affari politici e proibire quindi l’ingerenza straniera”.
In realtà, sul modello della legge esistente in Nicaragua, ma in forma ancora più aggressiva, si propone di mettere il bavaglio a organizzazioni, fondazioni ed associazioni, non compiacenti al Governo Bukele, imponendo una tassa pari al 40% di ciascuna transazione finanziaria proveniente dall’estero.
La reazione non si è fatta attendere: il 17 novembre, diverse organizzazioni salvadoregne, tra cui PRO- VIDA, CRIPDES, CORDES, FUNDEMUSA, LAS MÉLIDAS ed altre, hanno reso pubblica una dichiarazione in cui si condanna nettamente la proposta, considerandolo lesiva nei confronti della stessa popolazione salvadoregna e di tutte quelle organizzazioni che in modo solidario accompagnano le comunità rurali e periferiche delle grandi città, quelle in condizioni di maggiore vulnerabilità nel paese.
Il Foro del Agua avverte che la proposta dell’Esecutivo minaccia la fornitura di acqua in molte delle comunità rurali, in quanto è garantita soprattutto tramite la cooperazione internazionale, che sostiene ben 2500 giunte locali che gestiscono in modo comunitario la distribuzione dell’acqua, servizio non garantito dal governo.
Ed ecco, come in un susseguirsi da film drammatico, la pronta reazione di Bukele: il 22 novembre le sedi di 7 organizzazioni salvadoregne vengono perquisite da forze militari, documenti e archivi sono sequestrati.
Fra queste la Asociación de Movimientos de Mujeres Mélidas Anaya Montes, conosciuta come Las Mélidas, che in twitter denuncia questa azione come un attentato alle istituzioni e un atto vigliacco contro la stessa associazione, accusata ingiustamente di malversazioni e operazioni illecite.
L’impegno dell’associazione Las Mélidas nel campo femminista è noto da tempo, come il suo atteggiamento molto critico nei confronti di Bukele.
Numerose associazioni salvadoregne e internazionali hanno espresso solidarietà alle 7 organizzazioni attaccate ingiustamente da un governo sempre più in odore di dittatura, o democratura, come avrebbe detto il grande Eduardo Galeano.
E intanto, alcune organizzazioni internazionali, hanno deciso di sospendere i propri progetti in El Salvador.
Fonte: Articolo del 25/11/21 di Pressenza, foto de Il Faro di Roma