C’è un Paese del mondo di cui non si parla mai.
Vi si tengono regolari elezioni e il presidente pare goda di un consenso larghissimo.
Non solo da parte del legittimo parlamento ma anche della popolazione, in modo particolare per quel che riguarda le politiche sulla sicurezza e la “guerra” alla violenza di bande giovanili che qualcuno definisce criminali e altri, con una facile quanto bizzarra associazione di idee, terroriste.
Si tratta di El Salvador, dove il presidente Nayib Bukele – fino a 5 anni fa esponente di spicco del Frente Farabundo Martí, forza politica di sinistra, nata come opposizione guerrigliera a una tremenda dittatura militare – con una severa repressione è riuscito a ridurre il tasso di omicidi dai 105 ogni 100mila abitanti del 2015 ai 17,6 dello scorso anno.
Non sembra una riduzione epocale, così Bukele vuole fare di più.
Ha appena inaugurato il carcere più grande d’America.
Non ci risulta facile descriverlo, vi preghiamo però di guardare i due video qui sotto (bastano 2 minuti per il primo e i primi 5 del secondo), messi in circolazione dalla stessa presidenza orgogliosa della propria efficienza, della modernità e della finalmente raggiunta certezza della pena, espressione molto in voga anche da questa parte dell’oceano.
Di El Salvador non si parla come di un regime. Non è l’Iran, né la Turchia di Erdogan. Non è la Russia di Putin né gli Stati Uniti di Trump. È un piccolo Paese centroamericano che ha deciso di combattere con ogni mezzo la sua guerra.
Quel che si racconta spiega, forse, fino a dove possano spingersi nel nostro tempo l’agitazione retorica delle minacce alla sicurezza nazionale e la propaganda di sistemi di sorveglianza sempre più ossessivi contro il nemico, in questo caso interno.
Si dirà, con ragione, che l’Italia, l’Europa non sono il Centroamerica.
È verissimo, ma rischiano ogni giorno di assomigliargli di più.
Diversi indicatori lo confermano. A cominciare dalla discussione sulle carceri sollevata dal “caso” Cospito, fino alla percentuale di coloro che hanno fiducia nel voto e nelle istituzioni. L’altro rischio, com’è noto, è quello di aprire gli occhi quando sarà troppo tardi.
La paura è sempre un formidabile strumento di controllo, perfino etico. Favorisce l’anestesia che impedisce di vedere le necropolitiche di espropriazione della vita e la relazione tra l’utilizzo dominante delle tecnologie e l’alienazione dei corpi, della terra e della vita in comune.
“Ci dobbiamo invece domandare se la libertà e la democrazia siano possibili a lungo termine sotto il dominio del capitalismo maturo”, si chiedeva più di cento anni fa Max Weber, il sociologo della rivincita dello spirito sul materialismo, che qualcuno ha chiamato perfino l’Anti-Marx.
Lui confidava che a salvarci sarebbe arrivata la Grazia divina. Noi non ne siamo molto convinti…
Fonti: Articolo del 02/03/23 di Comune.info. Foto di Il giornale.it