La guerra nel Tigray etiope

Esattamente 6 mesi fa il primo ministro etiopico, Abiy Ahmed lanciava un’offensiva contro la regione del Tigray, nel nord dell’Etiopia.

I dissensi tra Addis Ababa e Makallé si erano intensificati a settembre, quando il Tigray ha indetto votazioni regionali contro il parere del governo centrale per poi sfociare in un attacco bellico in seguito a un’aggressione effettuata da TPLF (Fronte Popolare di Liberazione del Tigray) a una base militare di Makallé.

Intanto, dopo 6 mesi, la guerra continua ancora su tutti fronti nel Tigray. I morti non si contano più. Migliaia, forse decine di migliaia di persone ammazzate, quasi due milioni di sfollati, 4,5 milioni necessitano aiuti umanitari.

La situazione è a dir poco agghiacciante soprattutto per i civili, che, come in tutti conflitti pagano il prezzo più alto, specie donne e bambini. La ONG Save the Children ha fatto notare proprio pochi giorni fa che quasi 5mila minori sono stati separati dai loro genitori.

Piccoli costretti a vivere in stanze sovraffollate, insieme a adulti sconosciuti, senza protezione, esposti a violenze di ogni genere.

E’ successo a una bimba di appena sette anni, che ha perso le tracce dei genitori e dei fratelli quando è iniziata la pulizia etnica. Il papà le aveva chiesto di correre via, di non restare qui con loro, dove c’era anche la nonna vecchia e ammalata. Una volta tornata, la casa era vuota, nemmeno l’ombra di un congiunto. Ora viene accudita da una vicina, per molte settimane è stata costretta a vivere in una scuola, in un’aula trasformata in dormitorio per sfollati.

Ovunque c’è fame. Mangiare una volta al giorno è quasi un lusso. Gli aiuti umanitari arrivano con il contagocce; in molte zone i combattimenti imperversano ancora e l’accesso risulta impossibile in quelle aree. Addis Abba ha annunciato a gran voce di aver distribuito finora il 70 per cento dell’assistenza alimentare e voler ricostruire quanto prima le infrastrutture.

Intanto la maggior parte delle comunicazioni sono ancora interrotte sin dall’inizio del conflitto, persino in città come Shire, che attualmente ospita migliaia di sfollati.

Magdalena Rossman, consulente per la protezione di Save the Children, ha sottolineato che il sistema per supportare i bambini separati dai familiari è stato bruscamente interrotto durante il conflitto. I minori sono disperati, senza familiari, tremano quando sentono colpi di fucile perchè non c’è nessuno che possa proteggerli.

Anche il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha preso posizione il 22 aprile con un comunicato congiunto, nel quale i 15 i membri hanno espresso grande preoccupazione per il protrarsi della crisi in Etiopia e le gravi violazioni dei diritti umani, le violenze continue su donne e ragazzine.

La missione etiopica accreditata al Palazzo di Vetro non ha dato grande importanza al giudizio del Consiglio di sicurezza, ha semplicemente replicato che la questione del Tigray è un affare interno, disciplinato dalle leggi dello Stato, che comprendono anche quelle sul rispetto della gente. E infine ha sottolineato che saranno aperte indagini su eventuali violazioni dei diritti umani.

Nell’ultimo rapporto dell’ONU datato 27 aprile scorso viene evidenziato che le ostilità continuano nell’est, centro e nordovest della regione. E Vanessa Tsehaye, attivista di Amnesty international per il Corno d’Africa, ha riferito ai reporter di Al Jazeera che allo stato attuale la situazione è semplicemente catastrofica, specie per quanto concerne l’impunità dei crimini che vengono regolarmente commessi.

Fonte: articolo del 4/05/21 di Africa ExPres; foto di Famiglia Cristiana