La guerra in Etiopia non si ferma

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Etiopia è in atto una guerra silenziosa. Pochissime immagini e scarne note d’agenzia che non arrivano alla stampa internazionale avvolgono nel silenzio gli scontri, come quelli avvenuti questo mese nella zona nord del Paese.

Nella regione Amhara sono state arrestate più di quattromila persone. Una repressione del governo del premier Abiy Ahmed contro miliziani Amhara e truppe combattenti Fano che in precedenza si erano battuti in difesa dell’Etiopia e del governo di Abiy. Al momento le autorità locali non hanno commentato tali arresti. Una fonte interna però ci ha detto che si tratta di “rapimenti”, sparizioni di attivisti, giornalisti e combattenti ma anche di civili prelevati da casa o per strada. Ha fatto scalpore che sia stato preso anche un bimbo di sette anni. Le forze speciali, i cosiddetti “berretti rossi” cercavano un combattente Fano nella sua abitazione ma non trovandolo hanno preso “in ostaggio” il piccolo, rilasciato dopo circa sei giorni per le proteste popolari e l’ampio spazio dato dalla rete alla notizia.

La situazione ora è molto critica. I combattenti Fano si sono messi in salvo sulle montagne per non consegnare le armi ai soldati federali, (ENDF, Ethiopian National Defense Force) come richiesto dal governo. Ritengono infatti che il loro disarmo favorirebbe le truppe tigrine (TDF, Tigray Defense Force) pronte a riconquistare parte dei territori tornati adesso sotto la giurisdizione Amhara. È una condizione grave che, per molti osservatori interni al paese, preparerebbe un nuovo capitolo della guerra iniziata il 4 novembre 2020 e non ancora finita.

Dall’estero, l’America chiede che l’Etiopia ritrovi la pace, anche con una possibile trattativa con il Tplf, (Tigray People’s Liberation Front), l’ex partito di governo che però pone, come condizione preliminare, quella di ottenere proprio i territori della zona Welkait-Tegede tornati all’amministrazione Amhara. Dunque se nella prima fase del conflitto lo schieramento di alleanze interne al Paese vedeva da un lato il governo del premer Abiy Ahmed con le milizie Amhara, Fano e gli Afar e dall’altro le Forze Tigrine del Tplf, ora gli equilibri sembrano cambiati.

All’inizio del mese sul confine tra Tigray ed Eritrea ci sarebbero stati scontri tra l’esercito tigrino e le truppe eritree poste a presidio della zona. In seguito il governo eritreo ha accusato i Tigrini del Tplf di preparare un attacco contro di loro, minacciando rappresaglie se tali atti ostili nella zona di frontiera fossero continuati. Intanto i Tigrini del Tplf usano le televisioni locali per avvertire che ci saranno prossimi attacchi proprio contro l’Eritrea, propagandando immagini di movimenti militari e addestramenti di nuove truppe formate da veterani di guerra e da decine di migliaia di giovani miliziani.

Niente di buono sulla via della pace. Molti analisti etiopici dicono che alle spalle di questa prossima guerra ci siano le tensioni interne al Tigray, tra i dirigenti di partito e la popolazione che non ha accettato una sconfitta che sta costando carissima. Soprattutto nella zona del Tigray il conflitto del Tplf contro il governo federale ha provocato una grave crisi economica che ha ridotto la popolazione alla fame, rendendola interamente dipendente dagli aiuti umanitari.

Una nuova guerra nel Tigray devierebbe l’attenzione della gente dai gravi problemi interni, tenendo a bada il diffuso malcontento. Ancora una volta critiche e dissenso sarebbero messe a tacere per fare fronte comune contro il nemico. E nemici del Tplf sono gli Amhara e l’Eritrea, entrambi, da sempre, contrari alla divisione territoriale su base etnica e religiosa stabilita nel 1992 dal federalismo di Meles Zenawi e poi sancita dalla Costituzione del 1995.

Ulteriore profondo contrasto con il Tplf per gli Amhara è di natura geopolitica. Una zona a nord del Paese, Welkait-Tesege è stata considerata fino a novembre 2020 parte del Tigray Occidentale, ma non è sempre stato così. In precedenza Welkait-Tesege e altre zone limitrofe appartenevano alla regione Amhara. Lo erano state durante il regime socialista (Derg) al potere dal 1974 al 1990 e, prima ancora, sotto l’impero di Hailè Selassie. Il confine naturale tra Tigray e Amhara era considerato il fiume Tekeze che, come il fiume Mareb segna il confine tra Tigray ed Eritrea, tracciava il confine tra le regioni Amhara Tigray. Così fino al 1991 a ovest del Tekeze si parlava amarico, a est tigrino. Gli storici scrivono che non esistono antiche testimonianze sull’esistenza di un’amministrazione tigrina, oltre il fiume Tekeze. Almeno non fino agli anni Novanta.

Nel periodo in cui in Etiopia governa il Tplf, dal 1992 al 2018, i confini tra le due regioni però sono spostati a beneficio di una nuova provincia che prende il nome di Tigray Occidentale. Motivo di fondo aumentare l’area tigrina a beneficio di un futuro Tigray indipendente, come permesso dalla Costituzione, con una frontiera strategica verso il Sudan.

E proprio il rivendicato corridoio dal Tigray verso il Sudan potrebbe rappresentare una possibilità di successo nella guerra contro l’Eritrea. Per il Tplf infatti questo sarebbe l’unico modo per ricevere armi e supporto militare da parte di alleati stranieri. Così i diversi fronti del DTF riceverebbero aiuto materiale e logistico. In questi mesi Europa e America seguono un unico conflitto, quello tra Russia Ucraina, trascurando il Corno d’Africa.

I problemi etnici e religiosi in Etiopia, la situazione instabile in Sudan e in Somalia, dove sono ritornate le truppe americane per contrastare i terroristi di Al Shabab, rischiano però di fare esplodere un’importante area strategica, con devastanti ripercussioni politiche e umanitarie.

Fonte: Articolo 31/05/22 di Affari italiani. Foto