In Myanmar nominato il nuovo leader del partito Usdp

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Il Partito dell’unione, della solidarietà e dello sviluppo del Myanmar (Usdp), sostenuto dalle forze armate al governo dopo il golpe di febbraio dello scorso anno, sostituirà il suo leader con un ufficiale delle forze armate leale al capo della giunta, generale Min Aung Hlaing.

Lo hanno riferito fonti vicine alla dirigenza del Partito, secondo cui l’attuale presidente del partito, Than Htay, ha dato personalmente l’annuncio ai vertici dell’Usdp, anticipando di voler cedere la carica al suo vice, Khin Yi, per ragioni di salute. Quest’ultimo manterrà la presidenza ad interim sino alla prossima conferenza del partito, in programma ad ottobre, e verrà poi nominato leader della formazione politica a tutti gli effetti.

Khin Yi, un veterano delle forze armate, ha servito come capo della polizia nazionale sotto il governo militare al potere sino al 2011, ed è noto per aver ordinato la soppressione delle manifestazioni pro democrazia del 2007.

Le forze armate del Myanamr, al potere in quel Paese dopo il golpe di febbraio dello scorso anno, hanno avvertito mercoledì che condividere i messaggi sui social media del governo ombra, che riunisce le forze pro-democrazia del Paese, o persino seguire queste ultime su Facebook, è considerata una forma di appoggio a tutti gli effetti, ed espone a pene detentive sino a 10 anni di reclusione.

Il portavoce della giunta, Zaw Min Tun, ha dichiarato durante una conferenza stampa che il governo parallelo, battezzatosi Governo di unità nazionale (Nug), e tutte le organizzazioni ad esso collegate, incluse le Forze di difesa popolare – un’alleanza di milizie armate che combattono le giunta – sono a tutti gli effetti organizzazioni terroristiche, e che chi ne condivide o apprezza le attività sui social media si macchia di sostegno “diretto o indiretto” al terrorismo. La pagina Facebook del Nug conta ad oggi 1,32 milioni di follower.

Le milizie che combattono la giunta militare birmana sono protagoniste di combattimenti sempre più intensi in diverse aree del Paese, e rivendicano l’uccisione di circa 20mila militari birmani dal golpe ad oggi. La giunta ha risposto con azioni offensive sempre più pesanti e indiscriminate: secondo l’Unicef, almeno undici i bambini sono morti a causa di un recente attacco aereo e di fuoco indiscriminato in aree civili del Myanmar.

La denuncia del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, relativa ad azioni militari del 16 settembre in cui è stata colpita anche una scuola a Tabayin, nella regione centro-settentrionale di Sagaing, fa seguito a quella di testimoni locali. Amministratori scolastici e operatori umanitari, infatti, hanno dichiarato a diversi media internazionali che l’esercito birmano ha bombardato una scuola a Tabayin, causando la morte di 13 persone, tra cui sette bambini. L’Unicef aggiunge che si stanno verificando ulteriori dettagli e che almeno 15 bambini della stessa scuola risultano ancora scomparsi. L’attacco, in ogni caso, appare tra i più drammatici dalla recrudescenza delle violenze nel Paese.

Dal golpe di febbraio 2021 la giunta militare al potere a Naypyidaw ha progressivamente intensificato gli attacchi contro milizie etniche e insorti pro-democrazia in diverse aree del Paese. Saigang, in particolare, è stata teatro nei mesi scorsi di molteplici offensive dell’esercito birmano, che in diversi casi avrebbe dato alle fiamme interi villaggi, spingendo alla fuga circa mezzo milione di persone, secondo un rapporto pubblicato questo mese dall’Unicef. Una conferma del livello elevato della violenza arriva anche dal vicino Bangladesh.
Il ministero degli Esteri di Dacca domenica ha convocato l’ambasciatore birmano al quale ha trasmesso una protesta formale contestando spari e violazioni del proprio spazio aereo con conseguenti vittime e danni. L’ambasciatore del Myanmar ha ammesso che sono stati sparati colpi di mortaio verso il Bangladesh, ma li ha attribuiti a gruppi di ribelli.
Agli attacchi militari, inoltre, si aggiungono gli arresti di dissidenti, le torture e gli abusi. Human Rights Watch (Hrw) ha pubblicato il 13 settembre un rapporto che illustra i casi di sei attivisti arrestati tra maggio e luglio scorsi e deceduti. “Le sei morti documentate da Human Rights Watch sono solo la punta dell’iceberg della sofferenza e della tortura di quanti sono stati arrestati dalle forze armate e dalla polizia birmana”, ha affermato Manny Maung, un ricercatore dell’organizzazione non governativa.
L’inviata speciale delle Nazioni Unite in Myanmar, Noeleen Heyzer, è stata ad agosto a Naypyidaw e non ha potuto incontrare la consigliera di Stato deposta Aung San Suu Kyi. Nei giorni scorsi ha chiarito che non tornerà nel Paese se non potrà incontrarla. I suoi colloqui con la giunta, di fatto, sono stati improduttivi. Lei stessa ha ammesso che “non c’è una strada chiara” per uscire dalla crisi.
Fonte: Foto e articolo del 23/09/22 di Novanews.