Biden autorizza sanzioni in Etiopia

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Gli Stati Uniti hanno annunciato un nuovo regime di sanzioni contro l’Etiopia a causa del perdurante conflitto nella regione del Tigray. Il presidente statunitense, Joe Biden, ha firmato, venerdì 17 settembre, un nuovo ordine esecutivo che autorizza dure misure punitive contro gli autori di crimini nella guerra civile etiope. Il provvedimento consente al Tesoro degli Stati Uniti e al Dipartimento di Stato di sanzionare leader e gruppi che non adottino al più presto le misure necessarie a porre fine alle violenze.

“L’ordine esecutivo che ho firmato oggi stabilisce un nuovo regime di sanzioni che ci consentirà di prendere di mira i responsabili o i complici del prolungamento del conflitto in Etiopia, del sabotaggio dell’accesso umanitario o dell’impedimento di un cessate il fuoco”, ha affermato venerdì Biden con una nota, aggiungendo che i soggetti colpiti potrebbero includere membri dei governi di Etiopia ed Eritrea, del Fronte di liberazione del popolo del Tigray (TPLF) e del governo regionale di Amhara. La Casa Bianca ha osservato che tutte gli obiettivi individuati sono già stati accusati di violazioni dei diritti umani nei combattimenti, scoppiati, circa 10 mesi fa, tra le truppe federali etiopi e le forze regionali fedeli al TPLF, il partito al governo in Tigray.

Gli abusi commessi nel corso del conflitto sono stati di recente documentati nell’ultimo rapporto della ONG Human Rights Watch, che ha condannato, ancora una volta, le violenze, gli stupri, le uccisioni e le detenzioni arbitrarie contro i rifugiati nel Nord dell’Etiopia, i crimini attuati dai combattenti del TPLF e le risposte dell’esercito federale e dei suoi alleati. Gran parte del lavoro dell’organizzazione si è concentrato sui campi di Shimelba e Hitsats, che sono stati distrutti durante i combattimenti. Secondo l’ONG, circa 7.643 degli oltre 20.000 rifugiati che vivevano nei due centri sono ancora dispersi. Prima dell’avvio del conflitto, lo scorso novembre, l’Etiopia ospitava circa 150.000 rifugiati eritrei.

“Il conflitto in corso nel nord dell’Etiopia è una tragedia che causa immense sofferenze umane e minaccia l’unità dello Stato etiope”, ha affermato Biden, ribadendo che gli Stati Uniti “sono determinati a spingere per una risoluzione pacifica di questo conflitto” e a fornire “pieno sostegno a coloro che guidano gli sforzi di mediazione”. La guerra ha ucciso migliaia di persone e ha lasciato almeno 5 milioni di abitanti bisognosi di assistenza umanitaria. I funzionari statunitensi, giovedì 16 settembre, hanno affermato che circa 900.000 persone vivono attualmente in condizioni di carestia nel solo Tigray, con convogli di aiuti regolarmente bloccati dalle truppe federali, che non consentono alcun ingresso nella regione.

Nella sua dichiarazione, Biden ha sottolineato di essere d’accordo con l’ONU e con l’Unione africana sul fatto che “non esiste una soluzione militare a questa crisi”. Le parti in conflitto sono state chiamate a prendere provvedimenti significativi per avviare colloqui al fine di concordare un cessate il fuoco negoziato e consentire un accesso umanitario senza ostacoli.

L’ultima misura arriva dopo che gli Stati Uniti, il 23 agosto, avevano imposto sanzioni al generale Filipos Woldeyohannes, capo di stato maggiore delle forze di difesa dell’Eritrea. Il governo di Asmara, da tempo nemico del TPLF, è stato determinante nell’aiutare il governo etiope nel conflitto. A maggio, gli USA avevano già sanzionato vari funzionari etiopi ed eritrei, imponendo loro restrizioni sui visti e sui viaggi. Il provvedimento era stato condannato dal governo del primo ministro etiope, Abiy Ahmed, e considerato un tentativo di “immischiarsi negli affari interni” del Paese.

Parlando con i giornalisti durante un briefing, giovedì 16 settembre, un alto funzionario statunitense ha dichiarato che le parti in conflitto potrebbero intraprendere una serie di passi verso la risoluzione della controversia, tra cui “accogliere gli sforzi di mediazione guidati dall’Unione africana, designare una squadra di negoziazione, accettare i negoziati senza precondizioni e aprire colloqui iniziali”. Sul fronte umanitario, le azioni “potrebbero includere l’autorizzazione a convogli giornalieri di camion che trasportano rifornimenti umanitari per raggiungere le popolazioni a rischio e ripristino dei servizi di base come elettricità, telecomunicazioni e servizi finanziari”. Il funzionario USA ha riferito che solo il 10% delle forniture umanitarie destinate al Tigray è stato autorizzato ad entrare nella regione, di circa 6 milioni di abitanti, durante l’ultimo mese.

L’operazione dell’esercito federale etiope nella regione del Tigray era iniziata, il 4 novembre 2020, dopo che il TPLF era stato ritenuto responsabile di aver attaccato una base militare delle forze governative a Dansha, con l’obiettivo di rubare l’equipaggiamento militare in essa contenuto. Abiy aveva accusato il TPLF di tradimento e terrorismo e aveva avviato una campagna militare per riportare l’ordine nella regione. L’offensiva era stata dichiarata conclusa il 29 novembre 2020, con la conquista della capitale regionale, Mekelle. Tuttavia, i combattimenti sono continuati nella parte centrale e meridionale del Tigray. In tale quadro, anche l’Eritrea ha inviato i suoi uomini a sostegno delle forze di Abiy. 

I combattenti tigrini non si sono fermati e, qualche mese dopo, hanno ripreso il controllo di gran parte del territorio della regione settentrionale del Tigray, dopo aver riconquistato la capitale regionale, Mekelle. L’operazione militare del governo federale ha subito un duro colpo a causa della controffensiva tigrina e, nella serata del 28 giugno, l’esecutivo di Addis Abeba si è trovato costretto ad annunciare un cessate il fuoco unilaterale e immediato. La mossa ha segnato una pausa nel conflitto civile, che andava avanti da quasi otto mesi. Il TPLF, tuttavia, ha definito la tregua “uno scherzo” e i combattimenti non si sono ancora arrestati.

Fonte: Articolo di Chiara Gentili, Sicurezza Internazionale; Foto di Agenzia Dire