Dal governo sempre più dittatoriale di Nayib Bukele non ci si poteva certo aspettare un particolare riguardo per i diritti delle donne. Ma non può non impressionare il fatto che, mentre la «marea verde» per il diritto all’aborto sicuro e gratuito si estende per tutta l’America latina ottenendo risultati in un numero crescente di paesi, El Salvador – dove persino le donne che abortiscono spontaneamente o danno alla luce un neonato morto possono andare incontro all’accusa di omicidio aggravato – resti totalmente impermeabile a qualsiasi apertura.
A cercare di far uscire il paese dalla lista di quelli in cui l’interruzione volontaria di gravidanza è proibita senza eccezioni (di cui fanno parte anche Haiti, Honduras, Nicaragua e Repubblica Dominicana) ci aveva già provato nel 2016 il Fronte Farabundo Martí, proponendo di depenalizzare l’aborto nei soliti tre casi di minaccia alla salute della madre, di stupro e di malformazione del feto, ma l’opposizione, allora, non solo aveva votato contro, ma aveva chiesto addirittura pene più severe.
5 anni dopo, l’Assemblea Legislativa controllata dal partito Nuevas Ideas di Bukele non è stata da meno, bocciando il progetto di legge noto come “Reforma Beatriz” che mirava a depenalizzare l’aborto nei casi citati. Una riforma così chiamata in omaggio a Beatriz García, la donna, poi scomparsa nel 2017, che nel 2013 aveva sollecitato invano dallo stato l’autorizzazione a interrompere la gravidanza per grave rischio alla sua salute e per altrettanto gravi malformazioni fetali, dando alla luce un bambino morto poche ore dopo.
«Ciò che avviene nel mondo è un genocidio», ha dichiarato la deputata di Nuevas Ideas Rebeca Santos. Ma per fortuna, ha commentato la collega Marcela Pineda, in El Salvador l’aborto non verrà «mai garantito», perché «è incostituzionale».
Fonte: Articolo de Il Manifesto, 24/10/21. Foto: Osservatorio diritti