Il 27 marzo 2022 l’assemblea legislativa del Salvador, su richiesta del presidente Nayib Bukele, ha proclamato lo stato d’emergenza per un mese con l’obiettivo di contrastare le violenze delle organizzazioni criminali, accusate di aver compiuto più di sessanta omicidi in un solo giorno.
Il 26 marzo infatti per il paese centroamericano è stata la giornata più violenta dalla fine della guerra civile, nel 1992.
La polizia e l’esercito hanno lanciato un’operazione contro la Mara salvatrucha, una delle bande più pericolose del paese.
Bukele, che era stato eletto nel 2019 con la promessa di ridurre il numero di omicidi e la criminalità organizzata, ha scritto su Twitter che “mentre affrontiamo i criminali per strada, dobbiamo capire cosa sta succedendo e chi sta finanziando tutto questo”.
“Perché tanti morti ora?”, si chiede il giornalista salvadoregno Óscar Martínez in un articolo che abbiamo pubblicato nel numero 1454 di Internazionale (gratuito per le lettrici e i lettori di Sudamericana).
“Non vedo spiegazioni in cui le trattative segrete tra il governo e i gruppi criminali non abbiano avuto un ruolo determinante, se non esclusivo, in questo massacro. Non sarebbe una novità. Almeno dal 2012 i politici del Salvador trattano con i capi delle tre organizzazioni principali, che contano più di 64mila affiliati in un paese di circa sei milioni e mezzo di abitanti.
Tutti i politici hanno sempre negoziato nello stesso modo: in segreto, con le cupole criminali in prigione, offrendo dei benefici carcerari. Lo ha fatto anche questo governo. Nelle trattative con le gang i politici parlano molto spesso delle elezioni in programma”.
Il sito indipendente El Faro, che è stato più volte ostacolato nel suo lavoro dal presidente Bukele, a settembre 2020 aveva rivelato che da più di un anno il governo negoziava in segreto con alcuni gruppi criminali l’appoggio elettorale e la diminuzione degli omicidi in cambio di benefici carcerari.
Secondo molti analisti, come spesso è successo in passato, anche questa volta qualcosa è andato storto nella tregua segreta che il governo portava avanti con le organizzazioni criminali. E varie organizzazioni che si occupano di diritti umani hanno denunciato che lo stato d’emergenza è una misura pericolosa, che può rappresentare una minaccia ulteriore alla democrazia in un paese in cui negli ultimi tre anni molte istituzioni hanno perso la loro indipendenza.
Oltre alle migliaia di arresti di presunti affiliati delle bande criminali, avvenuti nei primi giorni dello stato d’emergenza, il parlamento ha approvato una riforma al codice penale che punisce con pene fino a quindici anni di carcere i mezzi d’informazione che riportano notizie o messaggi sulle organizzazioni criminali.
Secondo El Faro, la riforma è un attacco alla libertà di stampa e d’espressione e, soprattutto, al diritto dei cittadini di essere informati: “In una democrazia”, denuncia il sito in un editoriale intitolato No alla censura, “non dovrebbe essere il potere a decidere cosa si pubblica e cosa no. Questa legge arriva quando il regime ha già smantellato le istituzioni democratiche e vuole nascondere non solo le sue trattative con le organizzazioni criminali ma anche la sua corruzione”.
Fonte: Articolo dell’8/04/22 de l’Internazionale Foto: open democracy