Il primo viaggio all’estero di Kamala Harris nel ruolo di vicepresidente Usa avviene nel segno dell’immigrazione, l’argomento più spinoso per l’amministrazione Biden dopo aver domato la pandemia. Così, mentre il presidente lima i preparativi della missione europea di questa settimana, la sua numero 2 è impegnata in una visita di due giorni tra Guatemala e Messico. L’obiettivo della visita – spiega il suo staff – è lanciare una serie di iniziative tese a contrastare il traffico di esseri umani e il contrabbando attraverso il confine meridionale degli Stati Uniti. Lo scopo di lungo periodo è ancora più complesso: intervenire “alla radice” sulle problematiche che alimentano i fenomeni migratori, incoraggiando le persone a restare nei propri Paesi d’origine.
Da Guatemala City la vice-president ha dato un messaggio netto alla popolazione: “Non venite” negli Usa, “se arriverete al nostro confine, verrete rispediti indietro”. “La maggior parte delle persone non vuole lasciare il posto dove è cresciuta”, ma spesso lo fa “perché scappa o semplicemente non riesce a soddisfare i suoi bisogni primari stando in patria”, ha riconosciuto la numero due dell’amministrazione Biden, incontrando il presidente guatemalteco Alejandro Giammattei. Harris ha parlato del “pericoloso viaggio verso nord” che intraprendono i migranti invitandoli a “non venire. Gli Stati Uniti continueranno a far rispettare le nostre leggi e a proteggere i nostri confini”. “Se verrete al nostro confine, sarete rimandati indietro”, ha sottolineato, aggiungendo che ci sono “strade per un’immigrazione legale e sono queste che vanno percorse”.
Harris ha invitato il Guatemala a “lavorare insieme” per trovare soluzioni a “problemi di vecchia data”. Alle persone deve essere dato “un senso di speranza che l’aiuto sia in arrivo”. L’obiettivo è “creare condizioni in Guatemala in modo che (i giovani) possano trovare la speranza che non hanno oggi”, ha aggiunto.
Harris, alla prima trasferta internazionale da quando ha assunto l’incarico, a gennaio 2021, è stata nominata dal presidente Biden titolare proprio del dossier migrazione, coordinando le relazioni con i Paesi del cosiddetto “triangolo nord” – Honduras, El Salvador, Guatemala – tradizionale punto di partenza dei flussi verso il nord del continente. La missione centramericana è considerata un test per le sue ambizioni di leadership e la sua proiezione internazionale, un percorso ancora tutto da costruire vista la sua esperienza politica profondamente radicata nello Stato della California.
Finora, gli aiuti dell’amministrazione Biden all’America centrale sono stati molto limitati. Tuttavia, Biden ha proposto un pacchetto di sostegni da 4 miliardi di dollari come parte di una strategia a lungo termine verso la regione. Ad aprile, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo internazionale ha schierato una squadra di risposta ai disastri per aiutare nell’assistenza umanitaria. Nello stesso mese, Harris ha annunciato che gli Stati Uniti avrebbero inviato ulteriori 310 milioni di dollari per aiuti umanitari e per affrontare l’insicurezza alimentare in Guatemala, El Salvador e Honduras. La VP ha anche annunciato che una dozzina di aziende e organizzazioni – tra cui Mastercard, Nespresso e Microsoft – si sono impegnate a investire nei Paesi del triangolo settentrionale per contribuire a stimolare lo sviluppo economico nella regione.
Una delle architravi della strategia Usa è il contrasto alla corruzione. Un tema su cui non sarà facile trovare la quadra con il governo guatemalteco di Giammattei, che tempo fa ha denunciato come il fenomeno non riguardi “solo” la classe politica ma anche le organizzazioni non governative che nel Paese eserciterebbero forme di controllo illecito del denaro pubblico. A febbraio il presidente ha promulgato una legge che aumenta i controlli, soprattutto contabili, sulle ong, ignorando le preoccupazioni espresse dai parlamentari Usa. L’allarme, rilanciato anche dall’ufficio dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani in Guatemala, è scattato soprattutto per un articolo della legge che rende possibile la “cancellazione immediata” e l’imputazione “civile e penale” dei dirigenti di quelle ong “che utilizzano donazioni o finanziamento esterno per alterare l’ordine pubblico”.
La scorsa settimana la Casa Bianca ha emesso una nota nella quale conferma che Washington ha intenzione di usare proprio le organizzazioni non governative operanti sul terreno come strumento essenziale di intervento nella lotta alla corruzione, alla criminalità e di riflesso alla difesa degli interessi nazionali. Un monito che in Messico è stato letto come conferma che l’amministrazione Biden non ha intenzione di chiudere i rubinetti a Mexicanos Contra la Corrupción y la Impunidad, ente che il presidente, Andrés Manuel López Obrador, definisce apertamente contrario al suo governo e pertanto non idoneo a ricevere fondi dall’estero.
Il presidente guatemalteco ha insistito sulla necessità che dagli States arrivi un messaggio “chiaro” sulla gestione dei migranti, censurando la “marcia indietro” fatta dopo i primi annunci di Biden sulla sospensione dei controlli imposti in precedenza da Trump. Il Guatemala si aspetta che il Congresso Usa renda quello dei “coyote”, i trafficanti di esseri umani, un reato federale e non più una fattispecie dei singoli Stati.
La tappa messicana sarà altrettanto delicata. Martedì a Città del Messico Harris incontrerà prima il presidente, López Obrador, in una conversazione privata e quindi il ministro degli Esteri, Marcelo Ebrard, con le due delegazioni al completo. Secondo quanto riferisce la consigliera speciale per le Americhe del Dipartimento di Stato Usa, Hillary Quam, la vicepresidente dovrebbe anche sostenere colloqui con donne imprenditrici e intervenire a una tavola rotonda con un gruppo di lavoratori, oltre che colloqui con membri della missione Usa nel Paese.
La numero due della Casa Bianca arriverà in Messico in un momento particolare. Il Paese ha appena votato per le elezioni di medio termine, restituendo una tenuta ma anche un calo del partito dl presidente Obrador. Secondo i primi risultati, il blocco al governo dovrebbe mantenere la maggioranza nella Camera bassa del Congresso. Il partito Morena di Obrador dovrà fare affidamento sui voti dei suoi alleati nel Partito dei lavoratori e nel Partito dei Verdi, ma insieme dovrebbero arrivare a conquistare tra i 265 e i 292 seggi nella Camera da 500 seggi. Si prevede che la sola Morena avrebbe vinto da 190 a 203 seggi. Ciò segnerebbe un declino significativo per il partito del presidente che nell’attuale Congresso ha la maggioranza semplice, detenendo da sola 253 seggi. Inoltre, priverebbe il presidente della maggioranza qualificata dei due terzi necessaria per approvare le riforme costituzionali.
Che la visita di Harris sia entrata nella polemica politica interna è provato dalla cancellazione di un suo passaggio al Senato, originariamente in agenda martedì, per “mancanza di consenso”: “l’invito ha avuto reazioni contrastanti tra i colleghi parlamentari” , si legge in una nota.
Le posizioni del Messico sull’immigrazione sono chiare: al vertice internazionale sul clima promosso da Biden ad aprile Obrador aveva lanciato agli Usa l’offerta di agevolare le richieste di cittadinanza ai migranti che si impegnino – a determinate condizioni di modo e di tempo – nel programma sociale “Sembrando vida” (Seminando vita). Si è tratta di uno strumento già in uso nel Messico meridionale e che Obrador vorrebbe estendere ai Paesi del triangolo nord: ai contadini delle zone più disagiate si offre uno stipendio mensile per seminare alberi da frutta e da legna nelle loro coltivazioni, con il triplice obiettivo di dare occupazione immediata, innescare un’attività che potrebbe rivelarsi un domani redditizia e aumentare il polmone verde della zona. La Casa Bianca non ha mai formalmente risposto.
Malgrado le aspettative centroamericane, non sono attesi annunci sulla questione dell’offerta dello status di protezione temporanea (TPS) ai guatemaltechi. Il programma TPS consente alle persone già negli Stati Uniti di soggiornare e lavorare legalmente se i loro Paesi d’origine sono stati colpiti da disastri naturali, conflitti armati o altri eventi che ne impediscono il ritorno in sicurezza. Le designazioni durano da sei a 18 mesi e possono essere rinnovate.
Oltre ad avere alcuni dei tassi di omicidi più alti al mondo, Guatemala, Honduras ed El Salvador sono stati scossi negli ultimi anni da disordini politici, disastri naturali e dalla pandemia di Covid-19, con relativa crisi economica. La pandemia sembra aver causato un drastico calo della migrazione dalla regione nel 2020, ma gli attraversamenti dei migranti sono aumentati nuovamente nel 2021.
Nei mesi scorsi Biden ha formalmente annullato il programma “Restate in Messico”, noto formalmente come Migrant protection protocols (Mpp). Si è trattato di una pietra angolare della politica di gestione delle frontiere di Trump, in base alla quale i potenziali richiedenti asilo venivano fatti rimanere in Messico per attendere l’esito della loro domanda presso il Tribunale per l’immigrazione degli Stati Uniti. Per questa e altre decisioni sul tema, ritenute incentivi certi alle migrazioni, la Casa Bianca è finita nel mirino delle polemiche del Gop: secondo le autorità doganali Usa, il numero di migranti in arrivo da Messico e America centrale è passato dai circa 7000 di gennaio ai circa 19mila di aprile. Frenare questo flusso senza perdere la ritrovata “umanità” – così il presidente Usa ha inquadrato la revoca delle misure dell’era Trump – sarà la grande sfida dell’amministrazione Biden. Con Kamala Harris in prima fila, consapevole delle opportunità ma anche dei rischi di una missione da coltivare nello spazio di anni.
Fonte: Articolo di Giulia Belardelli, Huffington Post. Foto: tpi.it