E’ monarchia teoricamente costituzionale. E’ Paese dalla democrazia dimenticata, con un capo di governo, Hun Sen, al potere da 40anni. E’ un monaco che si ripara con l’ombrello a Phnom Phem, la capitale, in mezzo al vociare della gente. La Cambogia è tante cose. Diceva qualcuno: le contraddizioni non si dimenticano. Qui davvero tutto è contraddizione. E nessuno dimentica, pur lasciando perdere i ricordi.
Phnom Penh è una città che non si ferma, sembra in perenne movimento. Gli orrori della dittatura rossa di Pol Pot sono ancora davanti agli occhi di molti. Gli anziani sono sopravvissuti, i giovani vivono il presente, con la voglia da cambiare la loro storia personale. Studiano, lavorano, vogliono un Paese moderno.
La modernità sembra avere un nome: Cina. Pechino investe. Vende armi e prodotti industriali alla Cambogia e impiega miliardi di dollari – sono stati 2,32 nel 2022 – nell’edilizia. Lungo le strade che portano fuori dalla capitale o alla periferia di Siem Reap, tutto sembra un immenso cantiere. Nascono enormi centri residenziali apparentemente senza logica: sono mastodontici, concepiti per ospitare – con tanto di centro commerciale – migliaia di persone. Chi ci vivrà? Qui le persone campano con 1.600 l’anno. Quelle case non sono per i cambogiani. Così, come non è per loro Sihanoukville, il porto che guarda al Golfo del Siam. Per anni, a contendersi il controllo erano state mafia turca e russa. Oggi, a disputarselo a suon di dollari sono gli imprenditori cinesi e giapponesi…
Fonti: Articolo del 25/06/23 di Unimondo. Foto di Alessandro Vannucci