L’inviata speciale dell’Onu per il Myanmar, Christine Schraner Burgener, ha avvertito che la presa del potere da parte dei militari in Myanmar, il primo febbraio scorso, ha portato a un conflitto armato e il Paese “andrà nella direzione di uno Stato fallito” se il potere non sarà restituito al popolo in modo democratico.
Il 21 ottobre, Schraner Burgener ha affermato che il conflitto tra i militari e i civili e le minoranze etniche si sta intensificando in molte parti del Paese. La repressione dell’esercito ha portato a più di 1.180 morti e i militari starebbero utilizzando una serie di tattiche contro le popolazioni civili, tra cui incendi di villaggi, saccheggi di proprietà, arresti di massa, torture ed esecuzioni di prigionieri, violenza di genere e fuoco di artiglieria casuale nelle aree residenziali. Oltre a questo, Schraner Burgener ha affermato che i militari stanno conducendo operazioni di sgombero a Chin e in molti altri Stati e continuano i combattimenti negli stati di Kachin e Shan. Schraner Burgener ha affermato che il movimento contro i militari è ora “sempre più militarizzato”, con il cosiddetto Governo di unità nazionale (GUN) formato da sostenitori del governo democratico deposto e guidato da Aung San Suu Kyi che cerca di mobilitare un numero maggiore di combattenti e chiede “Una guerra di difesa popolare”.
L’inviata dell’Onu ritiene che la situazione ricordi le operazioni che l’esercito ha utilizzato contro l’etnia minoritaria musulmana dei rohingya nello Stato settentrionale di Rakhine nel 1997. I Rohingya sono stati presi di mira dalle forze di sicurezza del Myanmar nel 1997-98 e oltre 700.000 sono fuggiti in Bangladesh dopo una repressione militare nel 2017. In passato, i militari avrebbero usato la violenza contro i gruppi etnici armati o contro i rohingya, ma non contro la maggioranza etnica buddista bamar, tuttavia ciò starebbe accadendo ora su larga scala nella parte centrale del Paese, come affermato da Burgener, la quale ha avvertito che “la situazione generale in Myanmar continua a peggiorare drasticamente”. Schraner Burgener ha affermato che non chiamerà la situazione attuale una guerra civile perché non è “terminologia legale internazionale”, ma si tratta di “un conflitto armato interno” nel quale il Paese potrebbe cadere se non vi saranno cambiamenti. Guardando alla situazione sul campo, il numero di sfollati è aumentato da 370.000 a 589.000 dopo la presa del potere militare, il numero di persone che necessitano di assistenza umanitaria è passato da 1 milione a 3 milioni, e il sistema sanitario e bancario sono crollati.
L’inviata ha affermato che sanzioni mirate contro i militari possono avere un effetto, soprattutto se adottate da più Paesi. Per quanto riguarda il riconoscimento del governo militare, Schraner Burgener ha affermato che il comitato competetene dell’Assemblea generale dell’Onu, che dovrebbe riunirsi a novembre, deciderà se i militari otterranno il seggio alle Nazioni Unite del Myanmar ora detenuto dall’ambasciatore nominato dal governo di Suu Kyi. Per l’inviata, in questo momento, è molto importante che la comunità internazionale e l’Onu non diano segnali o facciamo dei movimenti che potrebbero essere visti come un’accettazione del governo militare. “Vogliamo rispettare la volontà del popolo”, ha sottolineato, osservando che ciò è stato fatto lo scorso novembre, quando il partito di Suu Kyi ha vinto l’80% dei voti.
Il Myanmar versa in una situazione di crisi interna da quando l’Esercito ha preso il potere il primo febbraio scorso, dopo aver arrestato, la leader del governo civile che è stato rovesciato, Aung San Suu Kyi, l’allora presidente, Win Myint, e altre figure di primo piano dell’esecutivo. I poteri legislativi, esecutivi e giudiziari sono stati trasferiti al comandante in capo delle forze armate, Min Aung Hlaing, mentre il generale Myint Swe è stato nominato presidente ad interim del Paese. L’Esercito ha giustificato le proprie azioni denunciando frodi elettorali avvenute durante le elezioni dell’8 novembre 2020, che avevano decretato vincitore con l’83% dei voti la Lega nazionale per la Democrazia (NDL), il partito allora al governo con a capo Aung San Suu Kyi. Tali votazioni sono state annullate e l’Esercito ha promesso nuove elezioni entro agosto 2023. Intanto, il primo agosto, è stato nominato un nuovo governo provvisorio di cui Min Aung Hlaing è primo ministro e che ha sostituito il Consiglio di amministrazione di Stato che aveva fino ad allora guidato il Paese, effettuando un passaggio da un consiglio militare ad un governo transitorio.
In risposta a tali eventi, dal 6 febbraio, sono nati sia un movimento di disobbedienza civile, con il quale molti dipendenti pubblici hanno lasciato il proprio impiego, sia proteste della popolazione, che l’Esercito ha represso con la violenza. In secondo luogo, l’Esercito ha ripreso a combattere contro diverse milizie etniche presenti da decenni in Myanmar, le quali si sono avvicinate ai manifestanti fornendo loro anche addestramento militare. I combattimenti nelle aree periferiche del Paese stanno generando centinaia di migliaia di sfollati. Infine, il 16 aprile scorso, più membri del Parlamento birmano deposti, alcuni leader delle proteste e altri rappresentanti di alcune minoranze etniche del Paese hanno istituito il governo di unità nazionale (GUN), che, dal 5 maggio scorso, ha un corpo armato noto come Forza di difesa del popolo. Il GUN e le sue milizie sono stati classificati come un gruppo terroristico l’8 maggio scorso. Il 7 settembre scorso, il presidente ad interim del GUN, Duwa Lashi La, ha dichiarato lo stato di emergenza e ha lanciato una “guerra difensiva”.
Fonte: Articolo di Sicurezza Internazionale, 22/10/21. Foto: Asianews