“L’esercito sta mobilitando 14mila soldati per difendere la capitale Naypyidaw”: lo hanno riferito fonti interne all’amministrazione della capitale del Myanmar alla testata The Irrawaddy, pubblicazione fondata nel 1990 in Thailandia da esuli birmani.
Secondo le fonti, la giunta militare che guida il Paese starebbe richiamando soldati e riservisti e incaricando le centrali di polizia a prepararsi ad assumere compiti militari.
Questo perché i militari starebbero trovando difficoltà a reprimere l’offensiva dell’Alleanza delle tre confraternite, ossia la coalizione dei principali gruppi ribelli formatasi a fine ottobre con l’obiettivo di rovesciare la giunta che nel febbraio 2021 ha preso il potere con un colpo di Stato.
L’avanzata dei ribelli è partita dallo Stato di Shan, al confine con la Cina, e avrebbe già preso il controllo di varie città e territori nel Paese. Secondo la testata Eurasian Times, 447 soldati si sarebbero arresi non solo nello Shan, ma anche negli Stati di Kayah, Chin, Rakhine e Mon, nonché nelle regioni di Sagaing e Magwe.
Eurasian Times ipotizza che dietro a questi sviluppi potrebbe celarsi la Cina: se in un primo momento Pechino ha sostenuto la giunta del generale Myint Swe per salvaguardare i propri interessi economici, il conflitto nato tra i diversi gruppi armati birmani e l’esercito all’indomani del colpo di Stato hanno reso il Myanmar sempre più instabile.
Ciò non solo ostacola i commerci, ma mette a rischio progetti e investimenti di Pechino. Tra questi, la costruzione di una linea ferroviaria di oltre mille chilometri per passerebbe per la città di Mandalay e nuovi oleodotti verso il Golfo del Bengala.
Un ritorno al potere della ex premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi e del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia, vincitore delle elezioni del novembre 2020, potrebbe quindi essere visto di buon occhio da Pechino.
A peggiorare le cose per la giunta, il fatto che il 31 ottobre Stati Uniti, Regno Unito e Canada hanno fatto scattare “sanzioni coordinate” contro singoli individui ed entità collegate ai militari, in linea con quanto già fatto dall’Unione Europea dal 2021.
Tali sanzioni prevedono anche l’interruzione della collaborazione finanziaria tra Washington e la Myanmar Oil and Gas Enterprise (Moge), la compagnia petrolifera birmana, che vale 1 miliardo di dollari all’anno e rappresenta la principale fonte di introiti dall’estero per l’economia birmana.
Le associazioni per i diritti dei birmani nonché l’ong americana Human Rights Watch da tempo chiedevano questo passo, sostenendo che le rendite del petrolio venissero impiegate dalla giunta anche per “comprare armi e munizioni” e commettere così “crimini di guerra e contro l’umanità sui civili”.
Le organizzazioni della società civile hanno denunciato bombardamenti su villaggi e zone abitate, nell’ambito delle operazioni condotte contro i ribelli.
Fonti: Articolo di Dire del 22/11/23 Foto di Inside Over