Continua la pulizia etnica nel Tigrai senza pace. Dopo gli Irob, gli occupanti eritrei hanno preso di mira la minoranza etnica dei Cunama per eliminarla. E i tentativi di implementare gli accordi di pace di Pretoria del novembre 2022, riportando i confini tigrini a quelli del 2020, si scontrano oggi con le violenze crescenti nel Tigrai occidentale. Qui i violenti scontri tra milizie locali Amhara e le truppe federali diAddis Abeba hanno messo in fuga il primo maggio dai campi migliaia di profughi sudanesi ed eritrei.
Nella tormentata regione autonoma settentrionale etiope non si ancora è spenta l’eco dei massacri impuniti commessi nei campi profughi Onu dalle truppe di occupazione asmarine verso i rifugiati eritrei di etnia Cunama negli anni scorsi che si aggiungono nuove barbarie. Si tratta della campagna indisturbata di assimilazione e sterminio delle minoranze etniche avviate dalle truppe eritree nelle zone di confine del nord Tigrai che hanno invaso 4 anni fa con il benestare dello stesso premier etiope Abiy Ahmed. Si tratta di una lunga serie di crimini internazionali contro l’umanità ordinati dall’impresentabile regime di Isaias Afewerki con cui il governo italiano ha appena dichiarato di voler avviare, primo paese occidentale, un accordo di cooperazione.
Da quattro anni la presenza dei soldati asmarini delle zone di confine del Tigrai continua a bloccare l’arrivo degli aiuti, mentre nelle aree che hanno occupato deportazioni e arresti arbitrari di chi rifiuta la nuova nazionalità e l’arruolamento forzato dei più giovani colpiscono, oltre agli Irob, anche i Cunama, popolo di alcune migliaia di agricoltori che vive tra Sudan, Tigrai ed Eritrea da 2.000 anni.
La strategia del vecchio dittatore eritreo, dopo due anni di guerra civile conclusa a novembre 2022 con l’accordo di pace di Pretoria che lui avversa, è annettersi i territori che l’Eritrea rivendica in base all’accordo di Algeri e contemporaneamente indebolire il Tigrai e rendere perennemente instabile il nord Etiopia. Come denuncia l’attivista Batseba Seifu sui social e su “Modern diplomacy”, i Cunama sono vittime della “strategia genocidaria” di Isaias Afewerki.
«Il gruppo etnico è preso di mira da decenni in Eritrea – spiega l’antropologo Mitiku Gebrehiwot, docente universitario che collabora anche con atenei italiani – perché non era favorevole all’indipendenza dall’Etiopia 30 anni fa. Sono vittime di un odio etnico e ideologico Ora i Cunama tigrini, che si considerano etiopi e vivono tra il nordovest e l’ovest della regione, rischiano l’estinzione come gli Irob».
Subito dopo lo scoppio della guerra in Tigrai, come è stato documentato da Acnur e diverse organizzazioni umanitarie, le truppe eritree, chiamate dal premier etiope Abiy Ahmed per combattere i comuni nemici del partito tigrino dominnate del Tplf, varcarono il confine e colpirono senza pietà i campi di Hitsats e Shimelba – abitati in prevalenza da rifugiati eritrei Cunama – in più riprese, fino a distruggerli. Mulu che oggi è rifugiato a Gibuti è stato un testimone oculare dei massacri e delle deportazioni commessi prima e dopo il 2022. «Gli eritrei andavano a catturare i fuggitivi anche nei villaggi Cunama del Tigrai e li uccidevano insieme alla popolazione che li aveva protetti. Gli anziani dei campi profughi che non potevano venire deportati in Eritrea come i giovani sono stati eliminati. Nel gennaio 2021 un comandante eritreo ci disse che la terra dove vivevamo apparteneva all’Eritrea e che dovevamo andarcene e che avrebbero fatto pulizia etnica. Per loro siamo residenti temporanei, dobbiamo tornare in Eritrea dove i giovani vengono arruolati e mandati a spiare i fratelli Cunama etiopi per sopravvivere». E oggi? «I villaggi Cunama in Tigrai sono stati saccheggiati e distrutti e il bestiame razziato. Arresti e sparizioni continuano in villaggi come ad esempio Shimblina, oltre il confine rivendicato dagli eritrei. L’esercito etiope non ci protegge e se l’Unione africana non interviene verremo massacrati»
Intanto almeno mille rifugiati sudanesi e altri seimila eritrei sono fuggiti il primo maggio dal campo profughi Onu di Kumer, a 70 km dal confine con il Sudan in piena guerra civile, dopo essere stati vittime per mesi di rapine, rapimenti e stupri ad opera delle milizie locali Amhara in lotta con l’esercito denunciati invano all’Unhcr.
Ora si rischia una pericolosa escalation in Tigrai dopo due anni di conflitto costati 600 mila morti e 1,5 milioni di sfollati se etiopi e tigrini non implementano gli accordi di pace di Pretoria conclusi grazia all’Unione africana e che, però, hanno molti nemici.
Fonti: Articolo del 04/05/24 di Avvenire. Foto di Focus on Africa