In Myanmar migliaia di persone liberate dalle scam cities

A metà febbraio circa 7mila persone sono state liberate dalle scam cities (in italiano “città della truffa”) nella regione attorno a Myawaddy, in Myanmar. Sono posti fatti da grossi capannoni o edifici a più piani in cui moltissimi immigrati in condizioni di semi-schiavitù vengono sfruttati per compiere truffe affettive, falsi investimenti, scommesse illegali, furti di criptovalute e ogni altro genere di frodi che avvengono online. Dell’operazione, condotta da Thailandia, Cina e Myanmar, si era parlato parecchio il mese scorso ed era stata celebrata come un successo.

Il problema però è che la maggior parte delle persone liberate non è davvero libera. Al momento in migliaia sono ancora detenute mentre aspettano di essere rimpatriate. Invece di essere accolte in strutture gestite dallo stato birmano (dove dal 2021 governa in maniera autoritaria una giunta militare), la maggior parte è rimasta negli stessi complessi in cui lavorava, trattenuta dagli uomini dei gruppi armati che controllano la regione (in Myanmar ce ne sono diversi). Le milizie sono spesso le stesse che collaborano con le organizzazioni criminali, perlopiù cinesi, che costruiscono e gestiscono le scam cities.

La loro attesa potrebbe essere ancora molto lunga: i paesi d’origine non hanno i mezzi per assicurare rapidamente il loro rientro a casa, mentre quelli confinanti non riescono a farsene carico. Secondo una lista fornita dalle autorità birmane tra le migliaia di persone bloccate in Myanmar ci sono cittadini di 29 paesi, tra cui anche Filippine, Kenya, Brasile e Repubblica Ceca.

Nei centri di detenzione improvvisati attorno a Myawaddy molti dormono sul pavimento e hanno poco da mangiare. Gli spazi sovraffollati e le condizioni di salute precarie rendono facile la diffusione di malattie: in alcuni edifici ci sono stati per esempio casi di tubercolosi. Anche le condizioni igieniche sono pessime: un uomo indiano ha raccontato ad Associated Press che nella sua struttura 800 persone condividono 10 bagni. «Era sembrato un miracolo uscire da quella trappola, ma ora vogliamo solo tornare a casa» ha detto un altro.

Delle 7mila persone che erano state liberate il mese scorso alcune sono state rimpatriate grazie all’intervento dei loro paesi d’origine. È il caso per esempio di alcune centinaia di cittadini della Cina. Altre sono state portate in Thailandia ma poi sono rimaste bloccate lì. È successo a 130 cittadini etiopi, che ora sono dentro una base militare thailandese ma non hanno modo di andare via, perché non hanno i soldi per pagarsi il biglietto e il loro governo non si fa carico delle spese di viaggio.

Proprio per il timore di situazioni del genere la Thailandia ha detto che d’ora in poi accetterà solo coloro che possono essere rimpatriati immediatamente.

Un cittadino cinese scortato da un soldato dell’esercito thailandese durante i controlli alla frontiera tra Myanmar e Thailandia, prima di essere rimpatriato, 8 marzo 2025 (EPA/ROYAL THAI ARMY’S RAJAMANU TASK FORCE via ANSA)

Le persone che rimangono incastrate in sistemi come le scam cities sono centinaia di migliaia in tutto il mondo. Secondo l’United States Institute of Peace, un centro di ricerca del Congresso americano, sarebbero 300mila solo nella regione attorno al fiume Mekong, che dalla Cina scende lungo la penisola indocinese e attraversa Thailandia, Myanmar, Laos e Cambogia. Di scam cities ce ne sono anche in India, a Dubai e in Georgia.

Nel sudest asiatico il fenomeno si è diffuso soprattutto a partire dalla pandemia, quando le organizzazioni criminali che gestivano i grossi casinò nella regione hanno dovuto cambiare il modello di business. Hanno quindi sfruttato internet per superare le restrizioni e rivolgersi al mercato globale, raggiungendo le potenziali vittime di truffa in paesi benestanti in Europa, Nordamerica e Asia.

Nelle scam cities alcuni lavorano volontariamente, ma molti sono attirati da falsi annunci di lavoro e poi privati dei documenti e costretti a restare, anche con la violenza. In Myanmar la mafia cinese che costruisce e gestisce le scam cities lo fa con la collaborazione o il beneplacito di chi controlla il territorio, cioè di alcune organizzazioni armate anche molto potenti che combattono contro il governo centrale. Sul confine con la Thailandia sono attive per esempio le Brigate di Frontiera (BF), una milizia di etnia karen che controlla diverse strutture dove avvengono le truffe, e dove ora sono trattenuti molti degli immigrati liberati nell’operazione di febbraio.

La Thailandia sta provando a smantellare le scam cities anche perché pensa che possano danneggiare il settore turistico. Nell’ultimo periodo gli ha più volte staccato la corrente (alcune si appoggiano alla rete thailandese, nonostante siano in Myanmar) e tagliato i rifornimenti di carburante usati come alternativa. La settimana scorsa ha anche arrestato 100 thailandesi, i primi a essere accusati di gestire direttamente una scam city sul confine con la Cambogia.

Fonti: Articolo del 10 marzo 2025 de Il Post.