Caro direttore
nell’ultima mia lettera ho scritto degli atti di violenza contro i cristiani in Birmania. Gli eccidi di questi giorni a Khin U e Shwebo, nello stato di Sagaing (non lontano da Mandalay, perché appena di là del fiume Irrawady), confermano purtroppo che è tutto un popolo ad essere martirizzato.
Inutile dilungarmi in descrizioni macabre ed elenco di vittime. Ho visto che i vostri telegiornali – seppur velocemente – hanno documentato l’efferatezza dei crimini. Ma ciò su cui vi chiedo attenzione è che quanto vi è giunto è solo l’apice di altre decine di massacri, assassinii, violenze sessuali, incendi ai danni di quella povera gente. Raccontarle tutte è impossibile. Drammaticamente: non fanno neanche “notizia”, se non per un giorno.
Comunque, ribadisco: se è vero che i cristiani sono i più colpiti, è altrettanto vero che è tutto un popolo che viene massacrato.
Il clima di violenza ormai imperversa nel paese. Da un lato la resistenza organizza azioni di guerriglia appena fuori dalle grandi città contro i militari, questi – a loro volta – sfogano la loro violenza su popolazioni inermi. Il tutto impunemente. Lo stato di diritto è sospeso. Vige la legge marziale. L’ONU e le altre organizzazioni internazionali sono vergognosamente inesistenti e i media internazionali parlano solo dell’Ucraina.
La nostra è una situazione che, come ho avuto più volte modo di scrivere, potrebbe andare avanti per anni. Conviene a tutti tranne che al popolo birmano e al mondo democratico. Perché?
Nessuno può vincere. La resistenza controlla il territorio ma non dispone di armi pesanti. I militari all’opposto appena entrano in certe zone vengono massacrati e a ciò rispondono con bombardamenti aerei, cannoneggiamenti, interventi massicci di truppe che radono al suolo tutto. Quando uso questa espressione mi riferisco, per essere espliciti a: incendio dei campi, dei magazzini, edifici (siano essi capanne, case, edifici religiosi, ecc.). Finita l’operazione si ritirano. Ma la domanda che da mesi mi pongo e vi continuo a porre è se questo non sia altro che un paradossale gioco delle parti. Io l’avevo chiamata “la storia dei ladri di Pisa” ovvero gente che di giorno litiga e di notte va a rubare insieme.
Infatti questo status quo tutto sommato è funzionale a chi prospera in questa situazione dove lo stato di diritto è sospeso e ognuno arraffa ciò che può. Dal suo lato la Cina prosegue la sua strategia di aggiramento dello stretto di Malacca ed avere un regime compiacente a Rangoon è meglio che non averlo.
Il punto – semmai serva ricordarlo – è che di questa situazione ne fa le spese un’intera nazione che viene depredata a livello macro economico delle sue risorse naturali (petrolio, gas, legname pregiato, pietre preziose, riso, acqua, terre rare, ecc). Ma non solo.
Ormai la situazione è tale che non c’è più distinzione tra poveri e classe media: tutti sono sulla stessa barca. Anzi correggo: c’è chi è ridotto allo stato di schiavitù. Qualche giornale occidentale vada a documentare per chi e dove le persone che fuggono dalla Birmania sono costrette in regime di schiavitù. Ragioni di opportunità mi impediscono di essere più preciso ma chi vuol capire, capirà.
Fonti: Articolo del 28/09/22 di Il Sussidiario.net. Foto di Tempi.it