Il petrolio cambogiano non è stato “scoperto” ieri, ma nell’ormai lontano 2004. Sin dall’inizio ci sono stati problemi tecnici e burocratici per il suo sfruttamento. In primis mancano raffinerie nel Paese: nel 2015 avevano iniziato a costruirne una (con la joint venture tra la Cambodian Petrochemical Co. e la China’s CNPC’s Northeast Refining and Chemical Engineering Co Ltd.) che, a fine 2020, non era ancora stata completata. Nel 2017 invece hanno finalmente stipulato un accordo per la produzione con la KrisEnergy di Singapore, che ha prelevato la quota che inizialmente apparteneva all’americana Chevron. Dal punto di vista legislativo, invece, seppur le risorse naturali siano costituzionalmente di proprietà dello Stato, non c’era nessuna legge specifica che regolasse il settore. Nel 2019 l’Assemblea Nazionale cambogiana ha quindi approvato una bozza di legge sul petrolio e la gestione della produzione del petrolio, che dà piena autorità di gestire tutte le attività della filiera dell’industria petrolifera al Ministero delle Miniere e dell’Energia. A fine dicembre 2020 il Primo Ministro Hun Sen ha annunciato l’inizio delle operazioni di estrazione, che saranno condotte in modo graduale, così da tenere sotto controllo eventuali rischi e raccogliere dati rilevanti.
Ci si scontra presto con un’altra questione: secondo Transparency International, il Paese si trova al 160° posto su 180 per grado di corruzione, e più di un terzo della popolazione è preoccupato per l’ampiezza del problema, soprattutto a livello governativo. Il Partito Popolare Cambogiano occupa tutti i posti nell’Assemblea Nazionale dalle elezioni del 2018, dopo che nel 2017 la Corte Suprema del Paese aveva dissolto il principale partito dell’opposizione, il CNRP. La pandemia ha peggiorato la situazione, portando a un ulteriore accentramento del potere. Ci sono stati infatti diversi arresti e le forze dell’ordine del Paese hanno represso violentemente numerose proteste. Gli arresti e le detenzioni non hanno interessato solamente i membri dell’ex-CNRP, ma anche ambientalisti, sindacalisti e altri oppositori, oltre ai giornalisti critici del Governo. Questo ha portato anche le Nazioni Unite a esprimere preoccupazione riguardo alle limitazioni della libertà che si sono verificate in Cambogia.
Diverse voci hanno quindi espresso preoccupazione circa la gestione dell’estrazione del petrolio, vista la “pessima reputazione” che la Cambogia ha in fatto di corruzione. Secondo il premier Hun Sen è invece un passo importante per diminuire la dipendenza energetica cambogiana da fonti straniere, poiché il petrolio risulta ancora una fonte importante di energia per il Paese ed è tutto d’importazione. Ha anche detto che gli introiti dell’industria petrolifera verranno usati per finanziare politiche in materia di salute ed educazione, proprio quello su cui rimangono dubbiosi molti osservatori. La società cambogiana ha espresso un certo grado di preoccupazione per la gestione della piattaforma petrolifera, vista la scarsa trasparenza e la scarsa speranza riguardo a un utilizzo “onesto” dei fondi. Un cittadino della provincia di Sihanoukville dice: “Abbiamo paura che, se il Governo non comunica i dati, i soldi verranno spesi non in modo trasparente”. Con ciò sembra indicare la paura che i soldi finiscano nelle tasche di Hun Sen e dalla sua famiglia. L’oro nero ha portato altri Paesi a sperare nel futuro per poi vedere tutto finire nelle mani di pochi ricchi corrotti. Sarà così anche per la Cambogia?
Fonte: articolo del 2/3/21 di Natasha Colombo, Il caffè geopolitico. Foto di Energia oltre.